Lettera di Bastianino Mossa al Movimento dei Pastori Sardi

 

Da figlio di pastore sardo, approfitto dello spazio di Libertà per fare alcune considerazioni  e cercare di capire le motivazioni che hanno portato alla clamorosa protesta dei pastori in Sardegna, oltre che manifestare loro sentimenti di massima solidarietà e sostegno alle loro istanze.

Mai come in questa estate le pagine dei media nazionali e stranieri si sono occupate della protesta del Movimento” Pastori Sardi”, infatti le manifestazioni tenutesi presso gli scali aeroportuali sardi, nel cuore della Costa Smeralda, e a Cagliari con circa 10.000 pastori in corteo  accompagnati da numerosi sindaci e amministratori, sono risaltate agli occhi dell’opinione pubblica con clamore, sia per i comprensibili disagi arrecati al numeroso traffico turistico, tipico dell’estate sarda, ma soprattutto per la numerosa partecipazione dei pastori, confluiti da ogni parte dell’isola. Mai si era verificato un fatto del genere!

Il pastore, in Sardegna, non è più la classica figura bucolica, che vaga con il proprio gregge alla ricerca di pascoli rigogliosi, ma è un allevatore  e anche un agricoltore, custode e sentinella del territorio. Il pastore guida un’azienda agro-pastorale, solitamente a conduzione familiare e con ricambio generazionale, a volte con ausilio di dipendenti. Le aziende  hanno partita IVA, sono iscritte alle camere di commercio, e anche a organizzazioni sindacali e ad associazioni di categoria. Hanno allevamenti  iscritti al registro anagrafico nazionale  e sottoposti ai controlli sanitari di stato dalle ASL competenti. Producono latte e carne, con sistema di rintracciabilità certificato, e secondo i parametri igienico-sanitari richiesti dalle normative vigenti. La stragrande maggioranza delle aziende è dotata di strutture moderne, con impianti di mungitura, raccolta e refrigerazione del latte all’avanguardia. Anche le aziende agro-pastorali più tradizionali, e per la maggior parte  situate nelle zone più interne e montagnose dell’isola, riescono comunque a produrre latte e carne sani e dalle caratteristiche organolettiche uniche. Il latte prodotto è conferito a caseifici industriali o a cooperative di pastori e pagato a “qualità”, e in tutto ciò si avvale di un moderno servizio di assistenza tecnica sia veterinaria che agronomica.

Esistono in Sardegna circa 15-18.000 aziende agro-pastorali, per una consistenza di più di due milioni di capi ovini, che producono annualmente circa tre milioni di litri di latte ( metà di tutto il latte ovino prodotto in Italia) oltre alla carne che deriva sopratutto dagli agnelli. Il movimento economico di tale comparto è assieme a quello turistico la maggiore risorsa economica dell’isola. Il latte prodotto è destinato alla produzione di formaggi DOP( denominazione d’origine controllata): Pecorino Sardo, Fiore Sardo, e Pecorino Romano che a dispetto del nome è prodotto da tempo anche in Sardegna e rappresenta circa il 40-50% della produzione totale, e dei tre DOP è quello che influenza in senso negativo il prezzo finale del latte ovino. Il mercato estero, nord America in particolare, ha rappresentato per anni uno sbocco commerciale importantissimo, assorbendo la maggior parte del Pecorino Romano, tuttavia, la globalizzazione, la svalutazione del dollaro rispetto all’euro, i mutamenti delle abitudini alimentari, la presenza sul mercato di formaggi che sono la riproduzione (in brutta copia) del pecorino sardo, l’eccesso di passaggi che allungano la filiera commerciale, la scelta di alcune industrie casearie sarde di importare latte dall’estero (Francia e Olanda) a prezzi ridicoli, determinano uno scarso ritorno economico per il pastore. La stessa carne di agnello importata dai paesi dell’est, per assurdo entra in Sardegna per poi essere rimessa sul mercato nazionale come agnello sardo, che a sua volta, viene deprezzato  pur provvisto di  marchio IGP (indicazione geografica protetta) garanzia di metodo di allevamento, di provenienza, di sanità e rintracciabilità. Si consideri che da oltre venti anni, è stato imposto agli stessi pastori di investire in costosi adeguamenti strutturali in azienda per poter adempiere a quanto imposto dalle normative comunitarie, con il conseguente pesante indebitamento delle stesse aziende. Ne deriva che il latte ovino pagato dai 40 ai 60 centesimi di euro al litro( in Spagna e Francia il latte ovino destinato per formaggi DOP è pagato da 90 centesimi a 1,20 euro al litro) non è più sufficiente a  coprire gli stessi costi di produzione, e costringe a lavorare in condizioni critiche le aziende agro-pastorali, tant’è che il il 70% delle stesse ha almeno due rate di mutuo arretrate nei confronti delle banche, un’esposizione media per azienda nei confronti dei mangimifici che va da da 6 a 12 mila euro,e il 5%  delle stesse non riesce a rientrare negli obblighi con conseguente rischio di pignoramento da parte dei creditori.

Il disastro finanziario delle aziende agro-pastorali, è seguito da quello biologico, infatti il pastore cura meno il proprio gregge avendo meno soldi da spendere in prevenzione e cura, gli animali sono più a rischio di malattia e la qualità del latte prodotto diminuisce. Ne consegue infine il crollo sociale dovuto alla paura di perdere il diritto a un lavoro ereditato e tramandato da generazioni a costo di sacrifici. Una tipologia di lavoro, la pastorizia, che è alla base  del  vivere  della società agro-pastorale sarda anche nel terzo millennio, società regolata anche da leggi non scritte, con usanze e costumi unici, all’apparenza chiusa verso l’esterno, ma orgogliosa, dotata di senso di appartenenza e di uno spirito solidale innato che si manifesta anche con la tipica ospitalità sarda nei confronti del forestiero.

Tali difficoltà sociali sono testimoniate dal fatto che nei paesi l’ufficio comunale più importante, che una volta era quello dell’abigeato che si occupava dell’anagrafe e del patrimonio zootecnico  ed era l’indicatore della salute economica locale, è diventato quello dei servizi sociali, cioè quello dei bisogni e delle necessità. In tale contesto sociale e in una regione dove il tasso di disoccupazione  raggiunge livelli drammatici, il rischio maggiore è per i giovani che, senza lavoro, trovano rifugio nell’alcool e sono tentati e attratti dalla ricerca di metodi di sostentamento immediati e illeciti, quindi portati a delinquere. La comparsa della droga in paesi piccoli dell’interno dell’isola non fa più notizia, come altre forme di reato un tempo esclusive dei contesti metropolitani.

Tutto ciò è alla base della nascita e dell’azione di protesta del Movimento “Pastori Sardi”, nato negli anni novanta come movimento autonomo e apolitico, costituito da pastori disposti a lasciare le proprie campagne e scendere in piazza per rivendicare il proprio diritto al lavoro, per sensibilizzare l’opinione pubblica con  dimostrazioni pacifiche di piazza, e convincere le istituzioni regionali e il governo nazionale a porre attenzione alle loro sacrosante richieste. A guidare il movimento è Felice Floris, un pastore di Siliqua, comune del sud dell’isola, persona preparata e competente, che conosce bene le dinamiche del mercato lattiero-caseario, le complesse leggi e normative che regolano il comparto ovi-caprino e lo stesso PSR(piano di sviluppo rurale), si avvale di pastori referenti comunali e zonali,  è sostenuto anche da delegazioni dei loro colleghi laziali e toscani, a riprova dell’importanza nazionale delle istanze sostenute.

Il movimento  ha quindi  elaborato  una piattaforma  Politico-Economica (consultabile sul sito: movimentopastorisardi.org), strutturata in 12 punti di proposte alcune delle quali da mettere in pratica nell’immediato e dare ossigeno alle aziende oramai allo stremo,  altre  riguardano proposte a medio e lungo periodo e di carattere strutturale, per  dare soluzione e rilancio all’intero comparto agro-pastorale e garantire una futura stabilità  economica.
Le richieste non sono affatto utopistiche, tant’è vero che il presidente della regione Sardegna, letteralmente assediato nel palazzo della regione da 10.000 pastori ha accolto  una delegazione degli stessi e ha fatto proprie le loro istanze e preso impegni precisi.

Le considerazioni finali riguardano le istituzioni politiche, governative e sindacali che in un quadro così grave non riescono a dare risposte adeguate, infatti la stragrande maggioranza dei pastori sardi si affida a se stessi piuttosto che delegare le proprie organizzazioni sindacali o associazioni di categoria, con conseguente  sfiducia  nei confronti di chi li dovrebbe legittimamente rappresentare. La stessa giunta regionale, dopo un anno di legislatura, in piena crisi politica, e alle prese con la triste storia del presunto scandalo sull’eolico, è incapace di farsi carico del problema e dare conseguenti risposte a una crisi di tale portata. Il governo nazionale, a sua volta, impegnato in ben altri problemi, tra federalismo e immunità parlamentare, non trova tempo e risorse economiche per aiutare i pastori, e al contrario  investe soldi pubblici attraverso il Ministero dello sviluppo economico in Romania, diventando l’azionista di minoranza( 30% delle azioni)  di una società che produce pecorino in loco, assieme al socio di maggioranza che è un noto industriale caseario sardo, a sua volta membro del consorzio del pecorino sardo. Suona beffardo  il marchio dato da costoro al formaggio  prodotto in Romania: “Dolce vita”,  con l’evidente scopo di fare concorrenza al pecorino italiano e quindi agli stessi pastori.

Credo che ce ne sia abbastanza perché i pastori abbiano diritto a portare avanti le loro istanze e ad  avere tutta la solidarietà che meritano… anche fuori dall’isola… in continente.

Castell’Arquato, 23 Settembre 2010

Bastianino Mossa

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