Nebbia, freddo novembrino e Parigi nella sua quotidianità. Caffè e croissant assieme alle persone che dovranno andare in ufficio,negli asili,al mercato o in fabbrica. Mi sento un estraneo e mi avvicino lento, godendomi ogni singolo passo di questo viaggio in solitaria verso il Pere Lachaise.

Hanno le mappe, le guardo. Ma no, in fondo c'è il pannello che indica le lapidi celebri e io ho una memoria fotografica. Quindi non la prendo( e dire che è anche la seconda volta che ci vengo e dovrei sapere quanto è grande) e studio la cartina all'ingresso. Giro il primo vialetto e sono già perso fra mille nomi di persone celebri o meno celebri. Della cartina all'ingresso solo un vago ricordo e uno schizzo sul Moleskine. Mi perdo tra il grigio delle lapidi, il verde del muschio, il giallo degli alberi e il nero dei corvi. I contrasti di colori saranno il bordone di tutto il viaggio. Giro, il contrasto di colori mi accompagna fra la gente che fu e trovo nomi grandi e celebri. Ma gli obiettivi sono altri. Jim è sicuramente troppo visitato, i morti della Commune meno. Lascio un biglietto, un saluto,cercando di ricordarli degnamente. Sul quel muro, ora restaurato e "pulito" dal sangue l'ultimo baluardo resistente della Commune è stato massacrato a colpi di pallettoni. A voi, "morts de la Commune". E a Jean Baptiste Clement, autore de "Les temps des Cerises". All'improvviso due signori grassotti e dall'aria simpatica,che mi stavano seguendo fra i sentieri dei morti per la libertà, mi chiedono di scattare loro una foto davanti alla lapide di Caballero. Sono due signori spagnoli e marxisti che attirati anche loro dalla moltitudine di nomi celebri qui al Pere si aggirano fra Comunardi e volontari del POUM. Andiamo insieme per qualche metro, sino alla Signora Piaf, elegante anche da defunta. Ma è un italiano suo vicino che desidero salutare. Vedere lì, eternamente insieme, Modì e Jeanne è fin troppo. Piango davanti alla loro tomba, cercando di immaginare persino i loro reti abbracciati.Si avvicina una coppietta italiana che non presta troppo attenzione né a me né a i resti del pittore. Per fortuna…anche a lui lascio un piccolo saluto. E' il mio modo di sentirmi un po' parte di un tempo che non ho vissuto ahimè.

Il resto è una cieca e continua ricerca di nomi e lapidi famose, sono già soddisfatto dei saluti che ho portato. Ne esco dopo qualche ora, già con i piedi urlanti ma che fare nel pomeriggio? Pennac avrà detto il vero su Belleville? E' qua dietro,non resta che verificarlo.A piedi..sono solo due fermate di Metrò, e ogni corsa in Metrò sono passi persi per le vie di Parigi. Allora su per Rue Menilmontant, l'altra via resistente e barricadera della Commune, con i brividi e l'eco antica di pallottole sibilanti, ricordando le lapidi appena viste.

Resiste Menilmontant e si vede. Il fallimento del Capitalismo inizia a creare malumori anche da queste parti. Mi ritrovo circondato di manifesti e di scritte rosse come il sangue che Louise Michel non voleva fosse rappresentato sulla bandiera comunarda. Arrivo all'incrocio fra Boulevard Belleville e Rue Belleville. Il Boulevard non mi attira minimamente, la Rue sì. In salita, stretta e affollata. All'improvviso i Francesi spariscono,come Pennac aveva detto. Arabia, Asia, Africa, Cina, Maghreb. Odori,suoni, bancarelle,lingue. E' ispiratrice Rue Belleville e dritta al cuore della collina. Decine di banchetti di non ben identificate pietanze affollano il marciapiede e attirano il mio interesse. Non siamo a Montmartre dove non puoi fare un passo senza ritrovarti con un negozio di pacchianerie fra le balle. Questa via è viva, questo quartiere respira e brulica. Lo fa con le più disparate rosticcerie, con gallerie d'arte contemporanea, murales,installazioni urbane. Un lato di Parigi che non conoscevo e che mi riempie la mente e il corpo. La città vera. Non so come sia nelle banlieue. Mi viene ad un certo punto il pensiero che questo quartiere sia una metamorfosi in essere. Metà banlieue e metà quartiere in ascesa, che si fa spazio fra gli arrondissements più turistici e imborghesiti. Non perdere la tua verginità Belleville. Scaccio questi pensieri ed arrivo fin sopra la collina. Paesaggio incredibile, lo skyline di Parigi da un punto nuovo, peccato solo per la foschia serale. Anzi, forse per fortuna la Parigi fumosa si nasconde..ho l'impressione di stare esattamente nel punto in cui ho sempre sentito di voler essere. Giusto in cima una sorta di Jazz Club dai muri color Côtes du Rhône mi coglie di sorpresa e visto che la temperatura è gelida e io sono ancora a digiuno ne approfitto. Decisamente un piccolo posto che vale la pena di vedere e dove poter bere un buon vino. Peccato che ho beccato esattamente la pausa-cucina, per cui ancora a digiuno. Dentro stanno facendo un servizio fotografico,qualcuno pare studiare, una signora e un ragazzo di colore chiacchierano. Per tutti loro questa è la normalità, per me un desiderio a cui servirà tanto coraggio. 

Il vino scende e scalda, cuore e pensieri. Ovviamente mi sarà innamorato già una quindicina di volte in giro per queste strade. Ci sono attimi,solo attimi, in cui darei il cuore alla prima ragazza che passa, cosi "stereotipamente" parigina.

Dopo Belleville ogni altro posto, ogni altro quartiere sembra fin troppo costruito ad arte e per il turista. E' il lato che fino ad ora mi rappresenta meglio la città per quello che è, ovvero una città. Sarei quasi curioso di vedere il lato Ovest di Parigi, quello veramente borghese. Giusto per capire se l'aria che si respira sia comunque differente da quella dei quartieri più noti.

Lascio Belleville, straniero in questo quartiere e per una volta non turista di Parigi. Una sottile punta di invidia per i suoi abitanti mi invade. 

Dove andare? Punto alla Metrò e prendo la prima linea in direzione Ile. E' notte ormai, il freddo è rimasto lo stesso. Equivale a dire che se va come sta andando, di masse fotografanti nipponiche ne vedrò ben poche..

Così è. Notredame si prepara al suo 850 compleanno ed è "impalcata". I "Quais" sono ricoperti di una fila interminata di macchine. I Parigini che lasciano l'ufficio e tornano verso casa. 

L'idea: nel Codice da Vinci la Pyramide du Louvre è meravigliosa,illuminata e solitaria. Da appurare se in una notte come questa c'è la possibilità di ritrovare la stessa atmosfera. Meta designata. Con me altri fotografi, forse allievi di una studio. Sicuramente molto più professionali di me. Ma il bello è che siamo soli. Nel punto più centrale della città. Soli. Non riesco ancora a capacitarmene. L'enorme e secolare piazzale del Louvre riempito solo dalla Piramide illuminata. Le fontane sono uno specchio perfetto. Forse è davvero il mio viaggio più bello. Io, la macchina e Parigi che si denuda.

Finisco passando al D'Orsay, valutando se fare un salto all'indomani o se andare oltre. Le metro sono affollate e si svuotano lente ma inesorabili. Oberkampf mi aspetta e stavolta trovo subito Rue Jacquard. Una zuppa di Ramen e una birra giapponese concludono la giornata. Continua  ad innamorarmi ad ogni sguardo e sento che in tutto ciò c'è qualcosa di strano. Ma per quanto bello girare da soli questa rimane una città che mi piace osservare in due.

One Reply to “Dal Pere Lachaise a Belleville”

  1. Per quanto un cimitero non sarebbe il posto nel quale mi sentirei a mio agio, capisco e condivido l'emozione di avvicinarsi a luoghi e storie così unici per la storia della nostra europa. Il bordone di colori che ti accompagna in quel pezzo di mondo che è bellville e finire con un ramen e una birra mi mettono a mio agio anche se sono qui in campagna nelle marche davanti al portatile. mercì dei racconti. a presto

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