E’ camminando, che si fa il cammino

Antonio Machado

Ci sono quattro o cinque posti nel mondo che vengono citati quando si vuole trasmettere un senso di lontananza o di remoto. Timbouctou, la Papua Nuova Guinea, i Poli. Tra questi c’è la Patagonia. La sonorità del nome ha anche un qualcosa di arcaico, di lontano nel tempo. La prima volta che la incontriamo è alle elementari, forse adesso alle medie. Quando si racconta del primo uomo che ha circumnavigato la terra si parla di Magellano, si parla dello Stretto di Magellano e si parla della Terra del Fuoco, ovvero della Patagonia.

La Patagonia in realtà è enorme, un terzo dell’argentina. Quella argentina ovviamente. Poi c’è quella cilena, che parte da Puerto Montt. Una enorme distesa di pampas quella argentina, fiordi e neve in Cile.

Se siete stati fortunati ve ne hanno parlato anche Bruce Chatwin e Luis Sepùlveda. I due si incontrarono, come racconta lo scrittore cileno, per parlarne. Sepùlveda stava per partire per la Patagonia e Chatwin era già tornato, pieno di moleskine di appunti E vi sarete fatti sicuramente un’idea leggendaria di questa terra. Vento incessante, cibo alla buona e condiviso, notti tremendamente stellate, riflessioni su un ponte della nave, una predilezione da parte degli autoctoni a raccontare una marea di balle, a spararla più grossa del proprio vicino. Una terra lontana, poco toccata dalle dittature che hanno imperversato in Cile e Argentina. O per lo meno da parte di queste è stata considerata una terra non solo di confine, ma anche di confino. Poteva sicuramente andare molto peggio.

Ma è anche il paradiso di alpinisti, trekkers e fotografi. E in generale di chi si vuole lasciare qualcosa alle spalle. Cime così impervie, irraggiungibili e inesplorate hanno fatto gola a tutti gli appassionati di montagna, e in Italia abbiamo dato un grosso contributo con i Ragni di Lecco. Per non parlare appunto dei fotografi. Da El Chalten in giù basta solamente fermarsi e addentrarsi in mezzo alla pampa o risalire qualche sentiero per immortalare il senso stesso della lontananza. I grandi nomi bene o male un giro l’hanno già fatto e sono in genere ben disposti a ritornare.

Così ci avventuriamo anche noi. Dopo averne parlato per più di anno la ciurma di Clickalps si muove per una Expedition. Stavolta non è un tour fotografico vero e proprio. E’ un tour per organizzare un tour. Fotograferemo meno, gireremo di più, probabilmente a volte un po’ alla cieca, per cercare gli spot giusti. Per quelli come me, ai quali la perfezione fotografica poco importa, ma sono desiderosi di mettere piede su un altro continente, in un posto così enfatico, l’occasione era molto ghiotta.

La Patagonia ci accoglie a Punta Arenas, in Cile, direttamente sullo stretto di Magellano, dopo due scali massacranti, uno a Madrid e uno a Santiago. Sapevo che non ci saremmo fermati a Santiago, ma mi appunto, se ancora ce ne fosse bisogno, che quella prima o poi sarà una tappa obbligatoria.

Scendere quasi in planata sull’aeroporto di Punta Arenas, con l’aereo sostenuto solo dal vento e vedere lo stretto avvicinarsi dolcemente è uno spettacolo che ti catapulta mentalmente e direttamente sull’altro lato del mondo. Tutta la stanchezza degli scali sparisce, sale quell’adrenalina che fa muovere velocemente i passi, quella per la quale cinque sensi non bastano per memorizzare tutte le esperienze che si stanno per fare. Stiamo per atterrare nella terra più vicina all’Antardide, alla fine del mondo. Peccato non avere un posto vicino al finestrino per godersela meglio.

Sbrigate le solite pratiche aeroportuali ritiriamo i due furgoni. Scricchiolano, cigolano, qualche spia di troppo accesa. Poteva andare decisamente meglio, ma almeno dentro sono spaziosi e comodi. Il vento ci scaraventa subito nella realtà dei prossimi 15 giorni. Qui tira forte, e quando tira forte vuol dire che devi stare in equilibro sul vento, baricentro totalmente opposto alla direzione in cui soffia. Un passo falso e sbandi. Due passi falsi e finisci sicuramente per terra. In direzione ostinata e contraria.

La nostra prima tappa è Puerto Natales. Dal finestrino capisco subito che questa è una terra che vorrei girare per i fatti miei. Non mi è successo in Namibia, non è successo in Belgio e nemmeno in Germania. L’ultima volta era il 2015 ed ero dall’altra parte del mondo, in Islanda. Piccoli pendii, una distesa infinita di erba e arbusti che discende verso le stretto e le sue baie. Lo stretto con un mare nerissimo e molto agitato. Una luce filtrata dalle nuvole e il suo riverbero che rende inutile qualsiasi occhiale da sole. La sensazione è quella di volersi davvero smarrire e capisco già ora che questo viaggio sarà diverso.

Golfo Almirante Montt

La Ruta 9, che parte da Punta Arenas e inizia a risalire i golfi sino a Puerto Natales ci lascia senza fiato poco prima dell’ingresso del paese. Dopo essere saliti scolliniamo verso sinistra. Una discesa lunga qualche chilometro ci porta verso il paese che vediamo più in basso. Manca un oretta al tramonto. Terra bruna, nuvole che arrossiscono, qualche catapecchia. Sulla destra si apre un lago. Ma non è un lago, è uno dei rami del golfo Almirante Mott. Qui a Puerto Natales si restringe e si allarga verso sud e verso ovest. Arriva sino all’Oceano Pacifico.

Puerto Natales ci sembra un avamposto, in realtà per i Cileni è un luogo di grande importanza.. Non ho studiato prima del viaggio, sono quello più ignorante in materia di Patagonia. Gli altri si sono dedicati alla ricerca delle foto degli inarrivabili della macchina fotografica. Io ho letto a malapena Patagonia Express. Sono partito consapevole che qualsiasi idea, speranza o preconcetto sarebbe stato smentito al mio arrivo, per cui meglio arrivarci con una mente sgombra. Tuttavia un’immagine sfocata del sud del latino-america me l’ero fatta ed è, in parte, come me l’aspettavo. Le case, le vie, le fabbriche abbandonate oppure no, i furgoni, le mandrie. Ma soprattutto gli sguardi delle persone, fieri ma gentili. Tuttavia proprio come la Patagonia stessa, di tutto ciò avevo un’idea lontana. Come se fosse qualcosa di irrealizzabile, intangibile. La più grossa scoperta l’ho fatta proprio a Puerto Natales. Era assolutamente tangibile e la stavo toccando con mano. Avrei scoperto più tardi Fitz Roy, il Beagle, il dottor Moreno, Cesare Maestri, Spegazzini e Butch Cassidy. Ma andiamo con ordine.

Siamo nella Regione de Magallanes y de la Antartica Chilena, l’estremo sud del Cile. Qui rimarremo una sola notte purtroppo, per gran parte del viaggio l’ho considerato come uno dei posti più interessanti. Innanzitutto per la posizione. Non l’ho capita tanto. Ogni tanto ho cercato di capire se quello che avevo davanti era un fiordo o un lago. Guardava a ovest, il sole tramontava dietro. Un enorme distesa di acqua navigabile. Ho dovuto riguardare il percorso fatto a casa, dopo giorni. Dietro di me il paese sale alla rinfusa, ma sembra brulicare di vita nelle ore diurne. Piccoli servizi. Il gommista, il sarto, l’alimentari, il benzinaio. A proposito, immediata è stata la ricerca di due bidoni di benzina. Il benzinaio di Puerto Natales è l’unico nell’arco di 250 chilometri. Per questo motivo è oggetto di un incessante via-vai di furgoni con bidoni da 500l sul cassone. Tanto valeva attrezzarci anche noi, e la mossa sarà fondamentale per la riuscita del viaggio. Nell’attesa studiamo un molo davanti al benzinaio, l’ora è quella del tramonto. Qualche nuvola di troppo non regala la luce giusta. E’ allenamento. Ma quando le nuvole si apre capiamo subito con che luce e con che colori avremo a che fare e basta guardarsi negli occhi per ridere di gusto.

Il nostro Hotel, If Hotel, è molto bello, piccolino ma accogliente. Ma ancora più caratteristico è il ristorante della prima cena, il Santolla. E’ un container con dei tavoli, di quelli da nave. Accanto un piccolo stabile con le cucine e il bagno. Ma è caldo e poca roba nel menù. La Patagonia non ha una vasta scelta di cibi tipici, semplicemente perché non è vasta nemmeno la varietà di animali o ortaggi, e la cucina di norma è povera. Ma siamo in un porto, sul menù c’è quasi solamente del pesce e dei molluschi,. Il ristorante prende il nome dal protagonista di questi mari, il granchio gigante, il centolla. Vada per quello, qualche tapas e una zuppa. Victor ì, il cuoco, lo fa leggermente piccantino, ma una zuppa calda ci voleva.

A proposito. Qui siamo a metà autunno, il vento diventa freddo la sera, la pioggia non manca. Le giornate, ancora molto lunghe, iniziano ad accorciarsi. Quello che ci aspettiamo di trovare tra qualche giorno sono il giallo e il rosso in mezzo ai boschi, che faranno da contrasto al blu di cielo e acqua e al marrone delle montagne.

Battezzo la prima sera in latino-america con un bicchiere di Pisco, e mentre le chiacchiere di chi è nel locale pian piano si affievoliscono cerco di non perdermi nessun dettaglio del posto e della serata. Scatto le prime due foto, due istantanee. Come vengono vengono, non ci sarà bisogno di post-produzione.

Puerto Natales

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