E’ un termine tecnico. Nel mio lavoro significa grosso modo prendere quello che si considerava ormai come sicuro e rimpiazzarlo.

Questo momento rimarrà nella storia. Ogni momento ci rimane, ma questo verrà ricordato. Sarà nei libri e avrà un capitolo a parte. Esattamente 100 anni fa il mondo fu letteralmente devastato dalla pandemia più grave di tutti i tempi. Numeri incredibili per un mondo che ancora non era sicuramente globale. A distanza di un secolo accade che una nuova pandemia, così è stata ufficialmente catalogata dal OMS, stravolge quello che era il nostro odierno, il nostro reale.

Si poteva fare di più, non si poteva. E’ colpa dei cinesi, no dei russi, dei turisti, è un arma batteriologica e le lobby ci nascondono le prove. Chissenefrega della quarantena, guai a chi esce di casa. Se ne parlerà per anni, forse durerà per anni. State a casa, ma gli operai in fabbrica no.

La cosa davvero destabilizzante è rendersi conto, tutti assieme, che sappiamo così poco del domani e che la nostra quotidianità, la nostra routine, è appesa a un filo. In Tv vediamo ogni giorno guerre, morte, fame, malattie. Dai TG alle pubblicità per i 2 euro da donare. Disgrazie servite in ogni media e formato. Un virus e qualche idea confusa bastano per distruggere tutte le fondamenta (poche) sulle quali si basava la socialità, il nostro vivere quotidiano.

La colazione, un controllo sui social, al lavoro sicuramente più del dovuto non si sa per bene per quale motivo, la palestra, l’aperitivo, Netflix. Poche eccezioni, declinazioni differenti, ma più o meno questo è. E si parla della classe piccolo-borghese.***

Assalti al supermercato, l’irrefrenabile desiderio di commentare ogni cosa, lo smart working improvvisato e usato da un lato come gettone bonus marketing (sarebbe bello analizzare Linkedin in questi giorni) dall’altro come “almeno lavorate dai”, le teorie sul complotto internazionale, il facile patriottismo a colpi di hashtag. Sibille cumane, Rasputin, Nostradamus. UNa poltiglia dove chi più ne ha più ne metta.

La verità è che si tratta di un momento storico, come già detto, e che noi siamo quelli che lo stanno vivendo appieno. Ce ne sono stati centinaia, migliaia nella storia. Il mondo è andato avanti, nel bene o nel male. Spesso dopo un periodo buio si ha il “rinascimento” e chi meglio di noi può raccontarlo.

La verità è che volente o nolente ne usciremo cambiati. Per alcuni non cambierà nulla, per altri si tratterà di un adattamento, altri ancora, forse la maggior parte, cambieranno radicalmente la propria vita. Sceglieranno di farlo o saranno costretti.

La vera sfida sarà: “come reagiremo quando ci verrà presentato il conto?”. Questa è una faccenda molto grande, inutile provare a cambiarla. Va affrontata, sapendo che è una partita complicata, ma non difficile. E’ curioso sorprendersi a fantasticare di come sarà il mondo fra qualche mese. Credo andrebbe ridiscusso il rapporto umano, il rapporto lavorativo, il rapporto con il mondo e la natura stesso, probabilmente il rapporto e la considerazione che abbiamo di noi stessi.

A dire il vero già il virus in se è un conto che ci viene presentato, ahimè troppo troppo tardi forse. Sprechiamo e spremiamo, ogni risorsa di questa terra, compresi noi stessi. Socialmente siamo passivi da anni, subiamo tutto ciò che crediamo di decidere e lo rivendichiamo con orgoglio e con ogni strumento a nostra disposizione. Ci si nasconde presso profili, obiettivi, numeri, eccellenze. Bruciamo l’età migliore della nostra vita senza godimento, senza sfruttare appieno ciò che realmente potremmo essere e senza una visione globale nel senso più positivo del termine. Il diverso viene emarginato, l’anomalo deriso, chi rimane indietro abbandonato. In ogni settore, in ogni ambito. Ma tutto ciò è volatile, effimero, impalpabile. E soprattutto instabile, e in questi giorni ne abbiamo la conferma.

*** volutamente non sono entrato nel merito di quanto è successo nelle carceri, di chi è stato letteralmente costretto a rimanere sul posto di lavoro a suo rischio ma a profitto del “padrone” e di altri argomenti sui quali la mia posizione è ben nota.

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